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Scompenso cardiaco, il rischio aumenta con gli antinfiammatori

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cuoreIl rischio di problemi cardiovascolari e di ricoveri ospedalieri correlati aumenta nei pazienti che assumono abitualmente farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS). Lo rivela lo studio osservazionale “Non-steroidal anti-inflammatory drugs and the risk of heart failure: a nested case-control study from four European countries in the SOS projects”, pubblicato sulla rivista British journal of medicine (BJM).
La ricerca è stata condotta da un gruppo di studio multidisciplinare e sovranazionale che, con il coordinamento di Giovanni Corrao, professore di Statistica medica dell’Università di Milano-Bicocca, ha visto coinvolti studiosi italiani (tra cui Andrea Arfè, Federica Nicotra, Lorenza Scotti e Antonella Zambon del dipartimento di Statistica e metodi quantitativi dell’Università degli studi di Milano-Bicocca), spagnoli (RTI Health Solutions, Barcellona), tedeschi (Leibniz Institute of Prevention Research and Epidemiology, Bremen), olandesi (PHARMO Institute, Utrecht, e Department of Medical Informatics, Erasmus University Medical Center, Rotterdam) e francesi (University of Bordeaux Segalen, Bordeaux).

Gli studiosi hanno analizzato 92.163 ricoveri ospedalieri per scompenso cardiaco di quattro paesi – Italia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito – e li hanno confrontati con 8.246.403 controlli rispetto all’uso di 27 fans, di cui 23 tradizionali e 4 inibitori selettivi dell’enzima cicloossigenasi 2 (COX-2), noto anche come prostaglandina-endoperossido sintasi 2, prendendo in considerazione anche la relazione tra dosaggio e risposta, giungendo alla conclusione che il rischio di ricovero ospedaliero per scompenso cardiaco è strettamente dipendente dal dosaggio.

Negli utilizzatori in tempi recenti, cioè da meno di due settimane, di un qualunque farmaco antinfiammatorio non steroideo è stato riscontrato un rischio di ricovero maggiorato del 19 per cento rispetto a chi aveva utilizzato per l’ultima volta uno di questi farmaci più di 183 giorni prima. Il rischio è in particolare aumentato per 7 principi attivi tradizionali – diclofenac, iboprufemene, indomertacina, ketorolac, naprossene, nimesulide e piroxicam – e due inibitori della COX-2, etoricoxib e refecoxib. Soprattutto per i princìpi tradizionali, il rischio è direttamente proporzionale al dosaggio, arrivando a risultare addirittura raddoppiato alle dosi più elevate sperimentate.

«L’importanza dello studio – dice Giovanni Corrao – è che risultati simili sono stati verificati in tutta Europa e dunque questi rischi non dipendono dalle abitudini prescrittive o da comportamenti esterni, ma sono direttamente riferibili ai farmaci».

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