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Università Bicocca - Giocare con le parole aiuta i bambini a capire la mente

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Un team di ricercatori di psicologia dello sviluppo e dell’educazione dell’Università di Milano-Bicocca ha scoperto che i bambini di età compresa fra i tre e i quattro anni, se stimolati con giochi linguistici basati sul lessico psicologico (o linguaggio degli stati mentali), migliorano in modo significativo la capacità di riconoscere in se stessi e negli altri la presenza di emozioni, desideri, credenze e intenzioni. Capacità conosciuta anche come teoria della mente. Dai test effettuati, infatti, è emerso che i bambini che, attraverso semplici storie, hanno imparato a utilizzare in modo appropriato termini “psicologici” come ricordarsi, credere, arrabbiarsi sono avvantaggiati sia nella comprensione del lessico meta-cognitivo, sia nella conoscenza delle emozioni. Ne risulta rafforzata la capacità di riconoscere e comprendere che sia se stessi sia gli altri hanno un mondo interno che influenza comportamento e relazioni.
Autrici dei due studi (Emotional state talk and emotion understanding: a training study with preschool children, pubblicato lo scorso marzo dal Journal of Child Language; The role of language games in children’s understanding of mental states: A training study, appena pubblicato sul sito del Journal of Cognition and Development e in uscita a fine maggio sulla rivista) sono Ilaria Grazzani e Veronica Ornaghi, rispettivamente professore associato di Psicologia dello sviluppo e dell’educazione e assegnista di ricerca nel dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’Università di Milano-Bicocca, affiancate nel secondo lavoro da Jens Brockmeier della University of Manitoba (Canada).

«Le ricerche – spiegano Grazzani e Ornaghi – mettono in evidenza il collegamento tra linguaggio e sviluppo cognitivo. Allenando i bambini all’uso pragmatico delle “parole della mente”, migliora la loro comprensione della mente altrui e propria. Il lavoro sul linguaggio favorisce nei bambini lo sviluppo precoce della comprensione del mondo interno che è fatto di pensieri, credenze e emozioni».

Le parole delle emozioni, sottolineano le ricercatrici, sono di solito ritenute troppo difficili dalle insegnanti della scuola materna che reputano questo linguaggio troppo complicato per bambini di tre o quattro anni. «In realtà – aggiungono Grazzani e Ornaghi – noi sappiamo, anche dalla letteratura, che nel vocabolario del bambino verbi come aver paura, volere, essere spaventato, cominciano a comparire già intorno ai due anni. Le insegnanti sottostimano le capacità lessicali dei bambini e quindi esse stesse usano poco il lessico psicologico». 

Il metodo di indagine
La metodologia utilizzata per entrambe le ricerche sperimentali (training study) ha previsto tre fasi: pre-test, training e post-test. Vi hanno preso parte circa 170 bambini dai 3 ai 5 anni delle scuole materne di Milano e provincia.

Durante la prima fase sono state somministrate ai bimbi prove linguistiche e cognitive per testare il livello di partenza. Nella seconda fase i partecipanti sono stati divisi in due gruppi, sperimentale e di controllo, e solo i primi hanno partecipato a un training intensivo durato circa due mesi sull’uso del lessico psicologico. Nella fase di post-test tutti i bambini sono strati valutati con le stesse prove utilizzate nella fase iniziale.

Il training è consistito nella lettura, da parte di un adulto, di una breve storia appositamente scritta per la ricerca con un ricco lessico psicologico e con l’obiettivo di mettere in evidenza di volta in volta un termine psicologico specifico come, ad esempio, ricordarsi, credere, arrabbiarsi. Al termine della storia l’adulto, attraverso l’utilizzo della tecnica del ‘lancio della parola’, ha incoraggiato ciascun bambino a utilizzare il termine target dell’incontro.

I risultati
La fase di post-test ha messo in luce che, in tutte e due le ricerche, i bambini che hanno partecipato al training sono migliorati notevolmente rispetto ai bambini del gruppo di controllo (scarica la tabella con i risultati del test).

In particolare, per quanto riguarda la ricerca sulla comprensione degli stati mentali, i bambini di tre anni che hanno fatto il training, rispetto alla comprensione delle emozioni, sono passati da un punteggio medio iniziale di 2.24 a uno post-training di 4.29, mentre quelli del gruppo di controllo sono passati da 3.14 a 2.86. Mentre i bambini di quattro anni del gruppo sperimentale, riguardo la comprensione delle false credenze, sono passati da un punteggio iniziale di 2.14 a uno post-training di 4.72, un punto in più rispetto ai bambini del gruppo di controllo (vedi tabelle allegate). Inoltre, il training sull’uso del lessico psicologico ha mostrato un effetto significativamente positivo sulla capacità dei bambini di comprendere pienamente il significato di questo tipo di vocabolario, sia a 3 sia a 4 anni. 

Un approccio di facile applicazione
Gli elementi di novità di questo approccio sono due. Il primo è che l’uso attivo da parte del bambino dei termini del linguaggio psicologico attraverso i giochi con le parole è molto più efficace del solo ascolto passivo. I test finali sui gruppi sperimentale e di controllo hanno dimostrato che i bambini che hanno “giocato” con i vocaboli psicologici sono poi capaci di usarli in modo consapevole, mentre i bambini del gruppo di controllo, che pure hanno ascoltato le storie ricche di lessico psicologico ma non hanno giocato con le parole,  sono meno in grado di contestualizzarne il significato.

Il secondo elemento di novità è la ricaduta applicativa della metodologia di lavoro utilizzata per le ricerche. «Abbiamo dimostrato – aggiungono Grazzani e Ornaghi – che questa metodologia di lavoro può essere tranquillamente messa in atto dall’insegnante stessa, senza che intervenga un esperto esterno. È sufficiente che l’insegnante usi i termini corretti per descrivere le emozioni o gli stati d’animo. Ad esempio, se si sta parlando dell’emozione “rabbia” è giusto stimolare il bambino a usare il termine anche facendogli dire “sono arrabbiato”. In fondo, si tratta di un lavoro sulla consapevolezza».

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